NARRAZIONI E LEGGENDE IN VALSESIA

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RIMELLA

UN ORSO

La lingua di Rimella in Valsesia, tra cultura alto tedesca e italiana.  A cura di Eugenio Vasini pag. 327

Ci fu un uomo che sentì arrivare, giù nel Tosso, un orso. Faceva gli urli spaventosi e altre cose! Si spaventò e si alzò dal letto. Andò alla finestra e vide passare un brutto mostro. Disse che era un orso. Questo andò verso Röt Kuwer. E la gente era tutta fuori a messa. Dopo, la gente quando andò a casa, vide le orme nella neve e capì che era andato verso il Röt Kuwer. E la gente fu salva.

Di seguito il link per ascoltare la versione letta in lingua walser: 







RIMELLA

IL LUPO GRIGIO

Cena magra quella sera nella tana di lupo Grigio: solo un leprotto, per cinque giovani bocche; pazienza, non era la prima volta, ed i piccoli lupacchiotti si misero ad ingannare la fame giocando e divertendosi, mentre papà lupo accovacciato li osservava con profonda mestizia.

In questi magnifici boschi rimellesi, da un anno i lupi erano cacciati accanitamente a morte e nella mente di Lupo grigio, tra i beati ricordi di gioventù, si alzava un velo lugubre: tutti erano caduti i suoi compagni di avventura, anche i vecchi che organizzavano e istruivano alla battaglia, si erano spenti sotto il piombo dei fucili, con negli occhi la visione di quel verde e quelle rocce, ed anche la sua lupa aveva trovato la morte en d Emra, lasciandolo solo ed unico rimasto ad allevare i suoi piccoli e pensare alla rivincita.

Ma perché gli uomini sono così cattivi’ in fin dei conti, se qualche volta si rubava un agnello era solo per non morire di fame, e poi … e poi in quelle notti piene di stelle l’unico sollievo per il padre lupo era l’osservare i suoi piccoli che, ormai stanchi del gioco, si erano addormentati uno vicino all’altro, ancora in posizione di gioco.

Ma col sole, con la natura fra poco anche i suoi piccoli si sarebbero svegliati e gli avrebbero chiesto da mangiare. Come improvvisamente i suoi occhi divennero di fuoco, si mise in assetto per una feroce battaglia e con un balzo scattò. Lupo grigio accettava la lotta, fino alla morte, contro gli uomini. Aveva fame non più di pecore, ma di carne umana e con questa fame si avvicinò a un mezz’alpe: San Giorgio.

Un piccolo fanciullo si era staccato dal vestito della mamma, che tagliava fieno, portandosi sul ciglio di un vicino burrone; fu un attimo, Lupo Grigio si avventò sopra di lui e già stava per addentare le teneri carni, quando i suoi occhi incontrarono quelli del piccolo: la sua ferocia fu vinta, anche i suoi piccoli erano così innocenti, anch’essi buoni …

Prese coi denti i vestitini del fanciullo e lo portò al sicuro. Poi, certo che gli uomini avrebbero contraccambiato la sua bontà, quasi di corsa, senza più accorgimenti, si era portato en d Obrun Balme. Lì c’erano pecore e pensava: “Un agnellino me lo lasciano in cambio del bambino”. Povero Lupo Grigio! Una fucilata e tu fosti a terra, nel tuo sangue; i tuoi occhi chiesero pietà, non per te, ma per i tuoi piccoli.

Il tuo grido risuonò tetro nella valle, ma nessuno lo raccolse: a battaglia era persa per sempre a Rimella.

 

Narrazione del patrimonio orale di Rimella, raccolta durante la ricerca sul campo e narrata da Paola Borla (responsabile del museo Walser di Rimella)

LEGGENDA VALSESIANA

                  JI LUF       

  Dice una leggenda Valsesiana che nella notte dei tempi, quando ancora non esistevano paesi nella Valle, un cacciatore salendo verso il Castello del Gavala sia stato preso da una tempesta di neve, e smarritosi arrancò fino a perdere i sensi per la stanchezza e per il freddo, il suo ultimo pensiero fu la morte certa per assideramento. Fu per lui una sorpresa quando il sole illuminandolo lo risvegliò completamente attorniato e scaldato da un branco di lupi. lo avevano seguito nella caccia e ancora lo avevano seguito, increduli, quando si avvicinava la tempesta di neve e non aveva fatto nulla per ripararsi, questo animale in caccia, ricoperto di pelli non sue e con il muso senza pelo, temerario ma per nulla saggio o esperto, meritava comunque di vivere. Fu il primo contatto tra uomo e coloro che sarebbero diventati gli “amici dell’uomo” per antonomasia. Il Cacciatore, scendendo, per non allontanarsi troppo da quello che, ora, era “il suo branco” mise un accampamento proprio all’incrocio dei due fiumi, e da li non si mosse più. Quell’accampamento senza nome divenne nei tempi War-Ade, Varade, Varal e infine Varallo, e il suo simbolo fu sempre un Lupo che guarda dietro se per non perdere nessuno nella tempesta. Ora Varallini sapete perché gli altri Valsesiani vi chiamano “ji Luf”.

Jaffa

 

Leggenda raccolta sul campo a Varallo, durante una visita nella Biblioteca Frinone Centa       

RASSA

                    Nello stemma comunale, riprodotto anche sullo stendardo conservato nella sala consigliare, è rappresentato un lupo con un bimbo in fasce tra le fauci. Questa immagine deriva da una antica leggenda, secondo la quale il bimbo Pietro Fassola venne rapito da un lupo, che successivamente lo

abbandonò illeso in Val Sorba presso la funtana d’i Russ. Questa tradizione è ampiamente riferita da vari autori, che si rifanno alla narrazione del Torrotti. Questa fu riportata integralmente da Gerolamo Lana, che scrisse nella sua famosa Guida [Lana 1840]: “Il Torrotti narra il fatto come infra: ‹‹V’ha il rinomato miracolo del 1333 di S. Maiolo in Valrassa, festeggiato ogni anno, per essersi trovato illeso l’unico pargolo nominato Pietro del Viceconte Emigliano, uno de’ tre fratelli combattenti contro gli eretici, portato via da un lupo rapace ne’ boschi di Valsorba sino alla fontana che chiamasi della Rotta...,onde diede il soprannome di Fassola di S. Maiolo ai posteri›› (Torrotti

S. Monte di Varallo pag.27)

. Volgare è ancora tale narrazione, appoggiandola eziandio ad un istromento esistente nell’archivio parrocchiale di Rassa, a ad un quadro grande che si vede sopra la porta dell’oratorio di S. Antoni

o da Padova, in cui è rappresentato S. Maiolo, e lateralmente un lupo che comprime colle zampe un

Particolare del dipinto di Sam Maiolo nel quale, ai piedi del santo, è raffigurata la leggenda del

lupo di Rassa. figlio in fasce come per divorarlo. L’anno però in cui l

a cosa accadde non dev’essere l’anno indicato dal Torrotti, né quello del 1330 assegnato dal Fassola; giacchè questa famiglia sino dall’anno 1305 nell’istromento delli 3 settembre nominata erasi de Faxola. Né di simil venturamancano altri racconti; chè esser la stessa cosa accaduta anche alla Mornarona, frazione d’Invorio, è in verde tradizione, e per ugual caso si solennizza la festa di S. Maiolo in Nibbia, ove nel coro della chiesa e sulla facciata di una casa due dipinti lo rappresentano”. Non sappiamo quanto la vicenda sia storicamente accreditabile; essa ha comunque trovato ampio spazio nella tradizione locale.

Secondo questa, in segno di gratitudine per il ritrovamento del piccolo Pietro Fassola, i genitori

fecero costruire a Spinfoglio una cappella intitolata a San Maiolo, abate di Cluny, già altrove oggetto di devozione nel Novarese, che costituisce di fatto l’atto istitutivo della comunità di Rassa..

Il dipinto raffigurante la vicenda, del quale la figura riproduce un particolare, fu a lungo conservato nella chiesa di S. Antonio, ma si trova ora nella chiesa parrocchiale. Ne riporto da D. Tuniz (Il culto di San Maiolo, 1998) la descrizione e un interessante commento. “Nella chiesa di S. Croce di Rassa è conservato un grande quadro di san Maiolo in abiti abbaziali, databile in base agli inventari parrocchiali alla seconda metà del Seicento. Due particolari attirano l’attenzione dell’osservatore: il santo è raffigurato sullo sfondo di uno specchio d’acqua (un lago o un fiume che si allarga) chiuso da una costruzione fortificata e percorso da imbarcazioni; ai piedi dell’abate, inoltre, sta un grosso

lupo che tiene fra le zampe un bambino in fasce.

L’immagine del lupo è legata a san Maiolo e alla sua famiglia (basti ricordare l’uccisione del lupo di Gévaudan ad opera del padre dell’abate, Fulcherio; lo specchio d’acqua e le barche parrebbero rimandare al miracoloso salvataggio dei naufraghi sul fiume Rodano. Il dipinto sembra avere invece un’origine diversa ed essere legato alle vicende di una celebre famiglia della Valsesia, i Fassola.

 

 

Narrazione storico culturale, registrata durante un incontro con il sindaco di Rassa. Presente in molti testi,ad esempio nel testo Rassa e le sue Valli. Ambiente e tradizioni di Gianni Molino

RASSA

            Carlo Mantello nato nel 1876 raccontava la sua infanzia e adolescenza trascorse all’alpe Prato di Rassa dove saliva con il padre ed il gregge in estate.  Nei suoi racconti parlava spesso dei lupi. La loro presenza  era quasi quotidiana tanto che i cani da pastore indossavano dei collari con grossi chiodi fatti a mano. 

Una notte vi fu un attacco e i cani intervennero subito a difesa delle pecore. Pare che riuscirono a salvare il gregge e anche loro ne uscirono illesi ma i pastori al mattino si accorsero che i chiodi del collare erano stati piegati dalla forza dei lupi.

Alla sera le pecore venivano raccolte all’interno di recinti fatti di muretti  di pietre a  secco  (ancora oggi in parte visibili) sui quali ogni pochi metri i pastori posizionavano dei lumi ad olio per tenere lontani i lupi.

Narrazione raccolta tramite la condivisione di file forniti dal Parco della Valsesia


RASSA

                          PIAN BERGAMASC 

Alla fine del 1800 un pastore bergamasco alpeggiava in un pianoro fra la cava del marmo e l’alpe Artorto con il suo gregge.  Un sabato decise di scendere a Rassa per fare provviste e lasciò il gregge tranquillo al pascolo. Quel  giorno si attardò un po’ più del solito. Al suo ritorno trovò tutte le sue 40 pecore morte,  alcune azzannate e divorate mentre altre cadute per lo spavento dal precipizio al termine del pianoro. Disperato l’uomo si buttò giù nello stesso burrone e da allora il piano prese il nome di “Pian Bergamasc”